Come nasce l’azienda Capitelli?
<I miei nonni erano grossisti alimentari nel periodo tra le due guerre, e avevano un’ampia area deposito proprio nel centro di Castel San Giovanni. Vendevano un po’ di tutto, dai beni di prima necessità come sale e tabacchi, fimo ai cibi più costosi, come a quei tempi erano considerati i prosciutti ed il formaggio. Con il trascorrere degli anni l’attività si è ampliata e, ai nonni, sono subentrati mio padre e i miei zii.
Negli anni ’60 mio padre insieme ai miei zii, decise di aprire una piccola catena di supermercati battezzati Lem, come la prima navicella che consentì all’uomo di toccare il suolo lunare. Dopo alcuni anni, mio padre decise di differenziare ulteriormente, dando vita al “Salumificio Capitelli”. Inizialmente parteciparono alle attività anche i suoi fratelli, ma dal 1978 divenne interamente suo>.
E tu quando sei entrato in azienda?
<Esattamente nel 1992, non appena terminati gli studi universitari. Mi sono laureato in legge ma sapevo già che il mio futuro sarebbe stato in azienda. Sono cresciuto nei magazzini generali di Castel San Giovanni, giocando a nascondino tra forme di grana e coppe messe a stagionare. E’ stato inevitabile appassionarsi a questo mondo>.

<Puoi dirlo! Riesco ancora a ricordare i profumi intensi del “Parmigiano” e le volte in cui mio nonno mi insegnava a riconoscere al tatto la stagionatura delle coppe.
C’è un episodio che mi racconta sempre mio padre, aveva messo a stagionare centinaia di salami su stecche di legno in uno stanzone dove giravo spesso con il triciclo. Hanno incominciato a trovare qualche salame rosicchiato sul culetto e fu subito guerra ai topi, fino a quando una vecchia zia, seguendomi per i magazzini, mi colse a rosicchiare i culetti dei salami, servendomi del triciclo, per poi fuggire via>.
Quando nasce il San Giovanni?
<Sono entrato in azienda proprio quando iniziavano a prendere piede i discount alimentari. Ne aprì uno anche a Castel San Giovanni, ricordo le signore che uscivano con i carrelli stracolmi. Sembrava quasi un apocalisse di mercato e facevo fatica ad immaginare il futuro: noi producevamo prosciutti che non sarebbero mai entrati in quel tipo di negozi sempre più affollati di consumatori. Dovevamo differenziare ulteriormente la nostra produzione, dovevamo dare una faccia chiara alla qualità>.
Che successe allora?
<Seguivo con molta attenzione le vendite, in particolare a Milano. Oltre a Pec, c’era un’altra salumeria storica in corso Vercelli, la San Giovanni. Essere distribuiti da loro significava entrare nell’Olimpo dei salumi. Ogni settimana andavo dal proprietario per cercare di vendere i nostri prosciutti e tutte le volte mi sentivo ripetere la stessa cosa>.
Cosa ti diceva?
<”Capitelli, inserirò il tuo prosciutto cotto quando riuscirai a farlo come si faceva un tempo”.
Per quasi 2 anni, ho realizzato prosciutti che a mio modo di vedere erano perfetti. Lui a volte li comprava, ma mi diceva che non erano come li avrebbe voluti. Tutto cambiò quando mi fece vedere una vecchia foto in bianco e nero del suo negozio. Sullo sfondo c’erano dei prosciutti cotti strani, che non avevo mai visto prima: avevano una forma irregolare e si vedeva che erano fatti senza stampo e con un procedimento diverso. Il grasso era nella parte inferiore e non in quella superiore come da prassi. Mi disse che all’epoca li acquistava da un produttore del modenese che da tempo aveva cessato l’attività. Riuscii a rintracciare un vecchio artigiano del posto che ancora si ricordava del metodo di lavorazione antico. Mi diede le prime linee guida, fondamentali per realizzare quel famoso prosciutto cotto che richiedeva il proprietario della salumeria San Giovanni>.
Che cosa ti raccontò l’artigiano?
<Mi parlò di un vecchio procedimento che prevedeva sia l’immersione della coscia in una vasca in salamoia, sia l’iniezione attraverso la vena femorale, della salamoia stessa. Un metodo, quest’ultimo, abbandonato in seguito alla standardizzazione del procedimento industriale che prevede, ancora oggi, l’iniezione della salamoia attraverso un impianto industriale dedicato. Con il vecchio sistema, si portava la salamoia in tutta la coscia, senza rompere le fibre della carne. Nel 1994 abbiamo ripreso questo metodo che, abbinato a passaggi successivi, garantisce un prodotto completamente diverso dagli altri>.
Quali sono gli altri passaggi?
<Mi riferisco alla formatura e la cottura. Nel primo caso non usiamo lo stampo per dargli una forma, così come avviene per tutti gli altri prosciutti, ma rispettiamo la forma anatomica della coscia senza forzare la posizione della fesa. Procediamo con il legaccio che tiene insieme la carne e cuciamo la cotenna con un ago da calza, in modo da ricreare la forma originale della coscia cruda. E’ solo leggermente più arrotondata perché viene tolta la parte del muscolo finale per ridurre gli scarti del salumiere quando dovrà tagliare il prosciutto>.
Parlami della fase di cottura.
<La cottura è un altro importante passaggio che caratterizza il San Giovanni. La coscia viene avvolta in pezze di tela grezza, legata saldamente e mandata in cottura su bilancelle a fondo piano. Grazie a questo metodo riusciamo ad eliminare la parte meno nobile, vale a dire l’acqua di salamoia che filtra lentamente attraverso le porosità della tela. Mentre la parte buona, cioè quella costituita dalle proteine e dai grassi, forma una sorta di brodo più denso che resta tra le fibre della tela proteggendo la carne. In pratica il prosciutto cuoce a contatto dei suoi succhi naturali ricevendone un sapore delicato ma molto persistente. Detto in altre parole è come se ottenessimo una meravigliosa marinatura in cui il prosciutto cuoce, per 24 ore, a stretto contatto con i propri aromi più veri, quelli che la carne stessa contiene >.

Oltre alla lavorazione quanto conta la materia prima?
<Bella domanda! E’ fondamentale, senza la giusta carne non si fa il San Giovanni. La materia prima, proveniente dai migliori allevamenti italiani, viene selezionata dal nostro responsabile carni direttamente sulle linee di macellazione, perché solo in presenza di ben precise caratteristiche si riesce a produrre San Giovanni>.
Una curiosità. Non mi hai spiegato da dove nasce il nome San Giovanni.
Hai ragione. Il prosciutto si chiama così in onore di quel signore della salumeria di Milano che mi ha ispirato tanti anni fa. Probabilmente non lo ha mai saputo, visto che proprio quando siamo riusciti a realizzare i primi prosciutti d’altri tempi, lui chiuse il negozio per ritirarsi a vita privata. Da allora non sono più riuscito ad incontrarlo>.